Cosa c’è dietro una fotografia?

Cosa c’è dietro una fotografia?

Si sente spesso dire, osservando una foto particolarmente bella, che è tutto un trucco, che è manipolata con Photoshop e nei casi peggiori che, l’Autore, abbia fatto ricorso a chissà quali mefistofeliche tecniche di manipolazione della realtà e sottoposto ad atroci torture il soggetto, o i soggetti, ritratto/i.

Come spesso accade le fantasie superano la realtà e servono solo a scatenare putiferio cercando di sminuire il lavoro, duro e minuzioso, fatto di conoscenza, pazienza e abilità tecnica, che c’è dietro una foto apparentemente semplice.

Mi trovo a Sharm El Sheikh presso il Royal Grand Sharm, parlando con le guide di Scubadreamer di cosa fosse possibile trovare e fotografare nell’HouseReef, tra le tante cose mi viene detto che vi è un anemone con i classici pesci pagliaccio e con le uova. Wow, ottima occasione per poter riprendere gli occhietti dei futuri nascituri mentre sono ancora racchiusi nelle cellette ovariche. Facciamo un primo tuffo equipaggiato di un bel fisheye e verso la fine dell’immersione vado a cercarmi il famoso anemone con le uova di pesce pagliaccio. Anemone stupendo che protende i suoi tentacoli alla leggera corrente, la coppia di pesci pagliaccio, un maschio e una femmina, si alzano a difendere la futura prole. Ma dove sono queste benedette uova? Osservo bene, con attenzione, ma non vedo niente. Appoggio la mia mano su un pezzo di corallo morto alla mia sinistra, ed ecco che papà Pagliaccio parte verso la mia mano dandomi dei colpetti con i denti ben in vista. Vuoi vedere che da queste parti ci sono le uova? Accendo la torcia e in una rientranza di questo corallo morto scorgo la massa rossiccia delle ovature.

Valuto che lo spazio tra il bordo del piede dell’anemone e la parete con le ovature è di circa quindici/venti centimetri: uno spazio sufficiente, secondo me, per poter infilare il dome e scattare. Mentre continuo ad osservare la scena cerco di immaginare nella mia mente come avrei potuto effettuare la foto che si andava delineando nella mia mente. Guardo il manometro e decido di risalire.
Durante la permanenza in superficie, ormai il pomeriggio è inoltrato, decido di scendere con la configurazione macro così formata: obiettivo 60mm Macro, lente addizionale +20 e un solo flash con snoot (#Snooty). Preparo l’attrezzatura, chiedo ai miei compagni di immersione se qualcuno di loro volesse fotografare quell’anemone con le ovature e davanti ad un loro diniego decido di dedicare tutta l’immersione alla realizzazione della foto che ho in mente.

Appena scesi, mi accorgo di una fastidiosa corrente che non mi permette di stare fermo, eppure ho bisogno di stabilità per poter realizzare la foto che ho in mente: sgonfio tutto il GAV e mi posiziono sulla sabbia in modo da ridurre al minimo ogni sorta di movimento. Lo spazio che apparentemente sembrava sufficientemente ampio si rivela ben presto alquanto angusto per infilarvi agevolmente il dome della custodia con il portafiltri montato e con lo snoot. Faccio un po di tentativi per cercare il miglior angolo per l’inquadratura che voglio ottenere, monto la lente e accendo la luce pilota del flash. Inizio con il delicato e laborioso lavoro di posizionamento dello snoot in modo da riuscire a creare l’effetto di luce radente che ho in mente e, allo stesso tempo esaltare le esili figure delle sacche ovariche con gli occhietti dei pescetti. Anche i tentacoli dell’anemone fanno il “loro lavoro” spostandosi e finendo spesso nell’inquadratura; vabbè questa è la Natura e fa parte del gioco delle parti: che gusto ci sarebbe se fosse tutto facile?

Nel frattempo sono già trascorsi 30 minuti di immersione, mi guardo intorno per vedere se c’è qualcuno dei miei amici che ha cambiato idea nel frattempo: non vedo nessuno, sono solo con l’anemone, i pesci pagliaccio e le ovature. Mi riposiziono e riprendo a scattare, dopo altri dieci minuti, finalmente sul monitor compare lo scatto che ho in mente: la striscia degli occhietti è a fuoco, solo una striscia, il nero sopra di essi è buono e posso completare l’immagine inserendo lo scatto della superficie dell’acqua sopra di me con gli snorkelisti che nuotano.

Caspita sono passati 45 minuti dall’inizio dell’immersione, ho consumato 100 bar di aria stando fermo il più possibile a dieci metri di profondità, sento la fatica ma la soddisfazione per aver realizzato quello che avevo in mente mi da nuova carica e riprendo. Non conto più le apnee che sono costretto a fare per evitare anche il più piccolo movimento che avrebbe vanificato l’inquadratura e fatto impazzire l’autofocus.

Realizzare una foto come questa non è mai una passeggiata specialmente se sono in concorso molteplici difficoltà e varianti; tutto inizia con la valutazione se vi siano o meno le condizioni per realizzarla e con quali difficoltà: studio e programmazione.
Restare decine di minuti fermo ad attendere qualcosa che non accadrà mai, non ha senso e diventa importantissimo saper valutare da subito l’intera scena; in caso contrario meglio cambiare soggetto e cercare altro.

Ma la soddisfazione del risultato ottenuto ripaga tutte le fatiche necessarie per ottenerlo. Quando guardate una foto, apparentemente semplice, provate a chiedervi se la sua realizzazione sia stata veramente semplice.

Buona luce a tutti.