I segreti del mare di Le Castella

I segreti del mare di Le Castella

Le Castelladi Francesco Pacienza Vi è una terra, la Calabria, in cui è possibile respirare e vivere la Storia con la esse maiuscola.

Ogni chilometro di tale regione è intrisa di testimonianze del suo passato dall’epoca romana alla Magna Grecia, ai Normanni agli Angioini. In provincia di Crotone sorge un’antica cittadina, molto nota turisticamente per lo splendido mare ma anche per il nel centro storico: Le Castella la cui origine si perde nel tempo. Il nome di “Le Castella”, usato al plurale anziché al singolare, deriva dalla tradizione popolare che riferisce dell’esistenza di molti altri castelli ubicati sulle isole prospicienti il litorale e sprofondate negli abissi marini.

Nel periodo Normanno-Svevo, il centro compare col nome di Castella Maris (Iudex Castellorum Maris). La posizione geografica di Punta Castella s’impose in occasione del trattato di amicizia tra Roma e Taranto nel 304 a.C.; sta di fatto che in base al trattato, alle navi da guerra romane era proibito navigare ad oriente di Capo Lacinio onde parve opportuno ai Tarantini – per sorprendere le navi romane che provenivano dal Tirreno e si dirigevano verso Taranto – di istituire una vedetta proprio a Le Castella. La notorietà di Le Castella deriva anche dalle splendide acque che la circondano e dalla vicina Area Marina Protetta di Capo Rizzuto che ne fanno una delle mete più ambite del Mediterraneo da parte dei subacquei di ogni parte del mondo. Sulla “Secca del Castello” vi è un sito di immersione in cui, oltre ad immergersi nelle profondità marine, ci si immerge nella Storia. La Storia dell’epoca Greco-Corinzia raccontata dai resti di una grande nave affondata in quel punto per cause a noi sconosciute. Sul fondo giacciono due ancore tipo “Ammiragliato” con marre a punta in metallo seminsabbiate e con grandi concrezioni di spugne di un arancio brillante. Più in la vi è un’altra ancora di dimensioni più piccole a 4 marre (tipo ombrello). Tale numero di ancore fa dedurre che la nave fosse di notevoli dimensioni, intorno ai 40 metri.

La presenza di una lamina e lingotti in piombo fa presupporre che lo scafo fosse rivestito ed avesse una sua zavorra. I resti costituiti da anfore, di cui molte quasi intatte, e “dolium” o ziri di dimensioni notevoli, giacciono su un fondale di circa 40 metri, ci dice che il carico trasportato era formato prevalentemente da granaglie e prodotti liquidi: vino ed olio. La presenza di due macine per le granaglie e altri manufatti in pietra o in metallo con tali concrezioni da conservarne la forma originale nonostante il materiale di cui erano originariamente composte si sia dissolto totalmente.

Il sito risulta impegnativo sia per la quota batimetrica del fondale su cui giacciono tali resti sia per la presenza di forti ed improvvise correnti che, sollevando una grande quantità di sospensione limitano la visibilità a pochi metri. La segnalazione alla Soprintendenza della Calabria che ha documentato l’intero sito è stata effettuata dal Tiris Diving di Enzo Nardi. Il Tiris non è nuovo a tali segnalazioni; infatti nel 2003 ha scoperto e consegnato alla Soprintendenza della Calabria circa 350 monete in bronzo risalenti al tardo Impero Romano a testimonianza dell’enorme valore culturale e storico che questa area della Calabria riveste tutt’ora.



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